BALDASSARE BONURA. USTICA, OMAGGIO ALLE LL. MM. ELENA E VITTORIO EMANUELE III

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 Professore Gennaro Surdi

L’impulso alla promozione di Ustica come meta turistica fu dato dalla Nobildonna Notarbartolo che va ricordata per aver messo fine al confino nei primi anni del ’60

Pubblichiamo un prezioso documento storico custodito da Baldassare Bonura che documenta il rilievo della presenza del ramo familiare dei Bonura nella storia dell’isola di Ustica . Si tratta del discorso ufficiale tenuto dal prof. Gennaro Surdi, nonno di Bonura, nel 19 maggio del 1907 ad Ustica per la ricorrenza dell’anniversario della visita nell’isola del re Vittorio Emanuele III e della moglie la regina Elena.

La famiglia Bonura, che ha legami familiari con i Favaloro ed i Notarbartolo di Sciara, ha quindi un profondo legame con la storia di Ustica, infatti il bisnonno dei fratelli Bonura, Antonino Favaloro, funzionario del governo borbonico e nominato Governatore dell’Isola di Ustica si incontrò personalmente con Garibaldi per l’annessione di Ustica al Regno d’Italia.

L’incontro è ricordato in alcuni famosi dipinti d’epoca. L’Arciduca d’Austria, dopo un suo soggiorno ad Ustica in cui fu ospite della famiglia Favaloro, nel 1898 pubblicò un libro “Ustica” che fu inviato alla famiglia a ringraziamento dell’ospitalità ricevuta, l’originale del testo oggi è custodito dagli eredi Bonura. La storia dell’isola è inoltre stata scritta in un dettagliato volume dello storico Monsignor Russo prelato anch’egli parente dei Bonura.

II nonno di Bonura, capitano Francesco Bonura, proveniente dall’Accademia di Modena è stato sindaco di Ustica per due sindacature come la zia Anna Notarbartolo che fu sindaco per 30 anni .

L’impulso alla promozione di Ustica come meta turistica fu dato dalla Nobildonna Notarbartolo che va ricordata per aver messo fine al confino nei primi anni del ’60, fu quindi una svolta epocale per la storia di un’isola dalla fama non certo rassicurante per essere stata confino durate gli anni del regime fascista, ma di questo fatto rilevante gli isolani volontariamente, e in modo davvero irriconoscente, non hanno alcuna memoria storica né documentale.

Durante il confino è fatto noto che insieme alla trentina di esiliati politici dissidenti del regime fascista, fra i quali Gramsci e i fratelli Rosselli, avessero coattivamente soggiornato oltre trecento mafiosi banditi nell’isola dall’ordinanza del Prefetto Mori insieme a ladri comuni e criminali. Erano gli anni bui di Ustica in cui i nativi esentati dalle tasse guadagnavano sulle spese dei coatti .Si legge in una delle lettere del 19 dicembre 1926 alla cognata Tania scritta da Gramsci confinato ad Ustica: “I coatti sono sottoposti a un regime molto restrittivo; la grande maggioranza, data la piccolezza dell’isola, non può avere nessuna occupazione e deve vivere colle 4 lire giornaliere che assegna il governo“. E più avanti nella stessa lettera: “Questi coatti sono rinchiusi in speciali cameroni alle cinque del pomeriggio e stanno insieme tutta la notte (dalle cinque del pomeriggio alle sette del mattino), chiusi dal di fuori“….”Tutto ciò che di elementare sopravvive nell’uomo moderno, rigalleggia irresistibilmente: queste molecole polverizzate si raggruppano secondo principi che corrispondono a ciò che di essenziale esiste ancora negli strati popolari più sommersi…”.

Anche dalle odierne testimonianze degli usticesi emerge il legame tra coatti e nativi: …”La vita dei coatti era veramente terribile, ma alla fine carcerati e carcerieri diventavano amici. Ci sono stati tanti, sa, mafiosi certo, briganti sardi, e poi l’intera famiglia del bandito Giuliano, tutti, madre, sorella e cugini, nella speranza di farli parlare e sapere finalmente il covo del famoso bandito”. (Fonte: Repubblica 2002 di Silvana La Spina).

In uno storico articolo dell’Ora -Giovedì 27 – Venerdì 28 aprile 1967 a firma di Giuliana Saladino (Fonte: Istituto Gramsci Siciliano), si legge che Gramsci, descrivendo gli anni della sua prigionia ad Ustica, scriveva a Tatiana Schucht, sorella di sua moglie: “È impossibile immaginare la vita di l’ambiente di Ustica, perché è assolutamente eccezionale, è fuori di ogni esperienza normale di umana convivenza”. Racconta poi l’episodio della tabaccaia che non sa dirgli quanto costano dieci pacchetti di Macedonia e continua: “…la psicologia dominante in tutta l’isola è la psicologia che può avere per base l’economia del soldo, l’economia che conosce solo l’addizione e la sottrazione delle singole unità, l’economia senza la tavola pitagorica”. Scorrendo l’articolo citato si legge ancora che : “I confinati affittarono una vecchia segheria, un magazzino, e là facevano lezione tra di loro e a tutto il paese. Ci andavano operai e dottori, carabinieri, giovani, ci andavamo noi ad imparare”. Scrive Gramsci da Ustica: “…si va a scuola come insegnanti o come scolari”. Ragazzini dell’isola ebbero da lui lezioni di storia e geografia, da Bordiga, ingegnere, che dirigeva la “sezione scientifica”, lezioni di astronomia.

 

A queste fonti documentate è doveroso aggiungere che nella casa patronale dei Favaloro nacque la prima scuola elementare di Ustica prima che fosse trasferita nell’edificio pubblico, a testimonianza di quanto stesse a cuore della famiglia dei Bonura la rinascita e la crescita dell’isola, dopo gli anni del confino, al di sopra di qualsiasi interesse di lucro.

Anche l’hotel “San Bartolomeo” della famiglia Bonura, la cui vicenda giudiziaria è oramai nota, si inquadrava proprio nella continuità della Famiglia Bonura di quell’impegno nella promozione di Ustica come isola in cui soggiornare e respirare non solo aria salutare ma anche la sua interessante storia. Da questa stessa storia invece, per interessi tutt’altro che storico-culturali, buona parte degli usticesi vorrebbero deliberatamente stralciare e cancellare i Bonura con le loro radici profondamente legate all’isola, insieme alla edificazione dell’odierno Poliambulatorio nonché della case popolari, importanti progetti per il benessere di Ustica entrambi frutto dell’impegno della famiglia Favaloro-Bonura verso l’intera popolazione.

I Bonura oggi come allora non vogliono nulla in cambio dell’impegno profuso nei decenni per Ustica, ma legittimamente desiderano restituire Verità alla storia della loro famiglia che oggi è unita ed impegnata per ottenere Giustizia.

Ringraziamo Baldassare Bonura per la documentazione messa a nostra disposizione

BUONA LETTURA

A cura del prof. Gennaro Surdi

Tip. Puccio – Calogero Sciarrino – Palermo

PAROLE DETTE DAL PROF. GENNARO SURDI PER LA RICORRENZA DELL’ANNIVERSARIO DELLA VENUTA DEI SOVRANI IN USTICA

stenografa

Sig.na Malta Giovannina

Signori,

Vi ringrazio – anzitutto – del gradito invito fattomi e che io lietamente accettai, perchè esso in me ridestò dolcemente – da tempo assopite per la lontananza dal luogo – le graziose voglie nostalgiche della terra nativa: il verde cupo degli alberi e le onde glauche di questo mare che lambisce la riva centenaria, siccome il bacio alimentatore della speranza!

Si, i ricordi infantili – confusi nel tempo – di questo inclito, glorioso mare nostro, che trasportò, sulla sua iridiscente schiena, quanto di più magnifico abbia avuto la storia di tutto il mondo: il genio greco e la civiltà latina; e sulle cui orme – più tardi – passò, superbo e vittorioso, il grande genovese, scopritore del nuovo mondo!

Voi non aspetterete da me – col mio dire affrettato ed incolore – un grande discorso, perchè grande è in me la commozione del momento, ed infinita la riconoscenza che nell’anima mi tumultua, per esservi ricordati – assai benignamente – del vostro concittadino lontano.

Oggi siamo qui convenuti per solennizzare un caro ricordo, che le leggi inesorabili del tempo non varranno a cancellare dai più profondi penetrali del nostro cuore, dov’esso sta come, tenacemente, scolpito. Il culto delle grandi e generose memorie è perenne alimento alla vita dei popoli; ed è perciò santo e bello il compito di alimentarlo – con rinnovata effusione – perché esso concorre, mirabilmente, alla educazione della psiche e del carattere di un popolo.

Cosa maravigliosa: la sensibilità del cuore di un popolo è potentissimo elemento del suo

progresso; la quantità di civilizzazione si misura dalla esuberanza del cuore e dell’anima. L’idolatria esclusiva d’un popolo, nell’idolo o nei commerci, atrofizza il muscolo che cammina e la volontà che va, impicciolisce il suo orizzonte abbassandone il livello. Babilonia non ha un ideale, Cartagine nemmeno, Atene e Roma hanno e custodiscono aureole di civilizzazione attraverso tutta la tenebrosa densità dei secoli!

Proprio così: lo afferma V. Ugo, il più grande umanista e filosofo della Francia.

I popoli – adunque – hanno bisogno d’innaffiarsi di entusiasmo fecondo di fede.

Ebbene; rinvanghiamo nella nostra memoria, solcata di fulmini: oh! quante speranze allora si credettero infrante, quante ambascie, quante lacrime!

Ricordiamo: nel mite aprile, dell’anno passato – nella rinascente primavera – quando i campi vigorosi e promettitori – per un’alacre e pingue cultura – tenevano lieto e giocondo l’animo di quest’Isola: quando il. sole, del mese di aprile fecondo si posava quasi a indorare il verde dei campi – plasmando i monti come scolpiti ed intagliati nell’ azzurro – un tremoto la scosse, con furia energumena , minacciando di muoverla ab imis.

E fu un momento di terrore e di panico, che strinse il cuore di tutti, panico reso maggiore dall’imparità della lotta con un avversario bieco, misterioso e formidahile. Ma – o dolcezza carezzevole di ricordo – in mancanza di possibili, immediati rimedi, sopperiva la magnifica, la sublime solidarietà umana confortatrice! Ed il grido di dolore non rimase inascoltato: da ogni parte pervennero, a questa terra – tocca dall’ ala della sventura, – zampillanti, fede ed entusiasmo, prove luminose di affetto e di amicizia; non pure da Palermo cui siamo legati da vincoli di origine, ma ben’anco da Roma.

Dalla grande inclita Roma, un Re moderno per istinti e per coscienza, accorse, premuroso e

commosso, a molcere il nostro dolore con la sua augusta presenza.

Il Campidoglio, millennario e glorioso, sfolgorò la balsamica e magnifica luce di pietà fraterna , generosa ed augusta. E la bianca regale nave pervenne, senza pompe ed inaspettata, a queste frastagliate solitarie coste, a confortare, di sua presenza, tutt’un popolo esterrefatto per

una implacabile rabbia tellurica.

A intadiare lo slancio magnanimo, come classico Sol dell’Ellade, la nostra graziosa Sovrana, Elena di Montenegro, – quale angelo consolatore – comparve fra le belle isolane, che cosparsero di olezzanti fiori, il Suo cammino.

Il Suo nobile, gentil sorriso, con la più dolce espressione del sentimento della carità cristiana, allietò e schiuse alla speranza l’animo depresso di queste vaghe, candide fanciulle, vittime del terrore.

Di questa solenne manifestazione umana ne rimane il perenne ricordo su questa lapide che resta incastonata al muro di questa casa del popolo.

Quest’atto, spontaneo e sincero, commosse quanti lo appresero e dimostrò ancora una volta,

che un Principe di Casa Savoia è capace, non. solamente, di stare impavido sul fronte degli eserciti, sui campi di battaglia, – per la conquista del diritto, – ma di sapere esercitare la profumata e fortificante religione delle virtù civili. La Casa Savoia – dico – che compendia in sè tutto il gentil sangue latino: dalle glorie mietute sui campi di battaglia, all’ aureola benefica, sulle pianure della sventura e del dolore!

Signori, non è adulazione cesarea, ma fiore aulente di gratitudine. Un atto di tale altezza e di tanta grandezza supera – non v’è nessuno che non lo vegga – qualunque gesto politico che la- scia dietro a sè strepitoso scalpore. Di questa Sovrana magnanimità, il popolo mite e laborioso di quest’amena isoletta, galleggiante nelle verdi acque di questo mare promettitore, serba grato,

grazioso ricordo. Perciò, esso, oggi, si è riunito – multanime ed uno – per rievocarlo alla memoria ed infonderlo, ancora più profondamente, nel proprio cuore: testimonianza indiscutibile di quella qualità, cui poco fa abbiamo accennato – e che dà la misura del valore di nostra gente.

Scampati, appena da un quarantennio, alle nere ribadite catene della servitù, noi, con mirabile storica evoluzione, ci siamo serviti della libertà politica come strumento sorprendente d’ogni progresso; tutto questo, nelle sue più intime sfumature, nelle sue linee generali, à contribuito anche a determinare la libertà del cuore!

Diciamolo francamente: un atto simile – in epoche non lontane – non sarebbe stato possibile, quando la vita di coloro, che presiedono ai destini della Patria, era rinserrata, anche nelle spontanee manifestazioni, nel cerchio di ferro delle consuetudini secolari e del pregiudizio.

Noi, adunque, dobbiamo questo grande avvenimento, che non trova riscontro nel passato alla grandezza dell’anima d’un Monarca esuberante d’affetto, e alla libertà che da tempo irrora un poco tutto e tutti!

Rendiamo, – o Signori, – vive grazie al nostro Re che di tanto è stato capace: questo popolo, con solenne, plebiscitaria manifestazione, a Lui mostra la sua perenne gratitudine, e rivolge fiso e tenace l’occhio vigile alla libertà, a questa grande Dea, nel cui grembo, d’altronde, nacque e si alimentò la fortunata e provvida stella Sabauda. Il che dimostra che, anche sotto le istituzioni monarchiche – liberamente e civilmente intese – può germogliare e svilupparsi il principio altissimo della libertà e fiorire – purpureo, – il rosaio del sentimento e dell’umana solidarietà.

E quando questo incrocio benefico non manca ad un popolo, esso non si fermerà a mezza via, nè imboccherà le vie di Babilonia, ma procederà certo e securo, nella via bianca e luminosa del progresso civile!

Ustica, 19 maggio 1907

Per leggere il documento in originale conservato dal nipote Balassare Bonura

 

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BALDASSARE BONURA. USTICA, OMAGGIO ALLE LL. MM. ELENA E VITTORIO EMANUELE IIIultima modifica: 2011-01-20T11:22:00+01:00da aldo251246
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